L’universo.
Questa cazzo di… di cosa in cui ci troviamo inzuppati è talmente ENORME che è difficile anche solo esprimerla, tanta enormità.
Tutte le stelle, tutto lo spazio, il tempo, tutte le particelle, tutti gli universi, tutti gli dèi, il moto, l’energia, tutta la vita, la poesia, la complessità, i numeri, il vuoto, il noto e l’ignoto, i sogni, le domande, l’infinito, la fica, il tiramisù e l’ammazzacaffè1.
La cosa più impressionante, e intendo la più impressionante di TUTTE, è che noi non siamo qualcos’altro. Noi siamo esattamente quella roba lì.
È difficile metterlo bene a fuoco questo concetto, forse perché la religione, il dualismo cartesiano, e la gente cattiva ci hanno viziati a distinguere sempre tra noi e il resto del creato2, o forse perché sto alla seconda bottiglia di fragolino3.
Ci riprovo.
Allora… Io guardo l’universo, ok?
Lo contemplo nella sua immensa globalità onnicomprensiva provandone vertigine e meraviglia.
Mi domando quindi che cos’è e da dove viene.
Bene. Il punto è che… io stesso faccio parte di quella cosa strana e immensa che mi provoca stupore, io stesso sono universo.
Capite? Non sono qualcosa di separato, di diverso, di aggiunto, di altro, perché non può esserci nient’altro rispetto al tutto, come non c’è un altrove oltre lo spazio, né un istante fuori dal tempo.
Io sono universo, e ogni cosa che osservo è in qualche modo misterioso un mio riflesso. Non solo: io, universo, scopro di esistere attraverso i miei occhi, è la mia autoconsapevolezza a rendere l’universo cosciente di sé4.
Ogni volta che mi interrogo sull’universo, sono soggetto e oggetto della questione, osservatore e osservato, la parte e il tutto, il creato e il creatore. Non è a lui che rivolgo le mie tormentose domande esistenziali, sono io che mi faccio le domande per lui.
Questa cosa mi fa strippare, santa della santissima madonnina santa.
Tutto ciò che vedo è parte di me. Tutto. Compreso il mio stesso sguardo che mi guarda, ed è a sua (mia) volta guardato da me e così via mentre mi avvito sempre di più tipo spirale e giro e giro e gira tutto e io precipito e con me precipita l’universo, e insieme ci schiantiamo giù e rimaniamo lì per sempre immobili a ridere e fissare il vuoto, il vuoto di vetro frantumato sul pavimento e poi via, che scivolo ancora, lento, ma con tutta la testa, giù giù giù verso questo oblio appiccichiccio…
Nella foto: questo oblio appiccioloso… appiccioso…
un oblio tutto appiciccioso… appffff… vabbè dai bonanotte.5
- E non dimentichiamo la simpatia. [↩]
- Ma anche tra noi e il creatore. [↩]
- Fatto in casa. [↩]
- Penso dunque esiste. [↩]
- Sì buonanotte, e indovina adesso chi rimette a posto? Perché a parole siamo tutti universo, poi però c’è chi guarda e c’è chi deve pulire i cocci (N.d.Esegeta). [↩]
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